Il mondo del lavoro è in costante evoluzione e spesso questo comporta un desiderio, da parte dei dipendenti, di cambiare. Cambiare ufficio, mansioni, cerchia di collaboratori, manager, ma anche il lavoro stesso in sé quando questo non è più soddisfacente per diverse ragioni. Ovviamente, a meno che non si abbiano rendite di vario tipo, per vivere bisogna trovare un nuovo impiego e anche qui, le cose sono cambiate e parecchio. Non basta più un buon cv, conoscenze, passaparola: oggi i recruiter per selezionare nuovi dipendenti utilizzano sempre più i tool di intelligenza artificiale.
In Italia lo fa 1 recruiter su 3 e la tendenza sembra essere in aumento. Questi sono i risultati di un’indagine di realizzata da Indeed (portale per chi cerca e offre lavoro) in collaborazione con YouGov che ha coinvolto 5.666 datori di lavoro in 11 Paesi nel mondo: Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Paesi Bassi, India, Singapore, Giappone, Australia e Italia.
Assumere sembra una mission impossibile
L’obiettivo è non sbagliare, questo sì. Ma sapere a prescindere se un lavoratore assunto sarà in grado di fare ciò che ci si aspetta, è quasi impossibile. Il 58% dei datori di lavoro partecipanti al sondaggio segnala un aumento delle difficoltà di assunzione negli ultimi 3 anni (63% in Italia). Il motivo sarebbe la mancanza di profili con requisiti in linea rispetto alle proprie esigenze, che è un problema per il 76%. In Italia, le percentuali sono ancora più significative (+10% rispetto alla media).
Si è così deciso di far ricorso all’Intelligenza Artificiale: quasi 1 recruiter su 2 (44%) si appoggia a più strumenti rispetto al passato. In particolare, il 38% degli intervistati afferma di aver già utilizzato strumenti di intelligenza artificiale per il recruitment. Con il 68% dei responsabili del recruitment ad avere usato l’AI, l’India è in assoluto il Paese che registra la percentuale maggiore. Seguono Australia (52%) e Stati Uniti (45%). In Italia, hanno fatto ricorso all’AI 1 recruiter su 3 (29%).
Tra i settori in cui questa viene utilizzata maggiormente per la scelta dei candidati ci sono l’IT e telecomunicazioni (58%), i servizi finanziari (49%) e la contabilità (48%). Si distinguono, tuttavia, con percentuali superiori al 40% anche il settore delle costruzioni (46%) e quello del marketing e delle PR (42%).
Per avere una percentuale d’errore più bassa, i recruiter devono addestrare l’intelligenza artificiale e il 98% di loro si dichiara disponibile a farlo, con un 51% disponibile a dedicare un considerevole lasso di tempo. Il motivo? L’AI viene indicata vista come un valido supporto per identificare i candidati (50%), per compiere una valutazione degli stessi (49%) e personalizzare il processo di recruitment. I recruiter, inoltre, ritengono che sia un valido aiuto per la scrittura delle job description (45%), oltre che per individuare e mitigare i bias.
Gianluca Bonacchi, Talent Strategist Advisor di Indeed dice: “L’AI può essere un valido strumento per il recruitment. L’obiettivo dell’utilizzo di questi strumenti, tuttavia, non deve essere quello di sostituire l’elemento umano, ma di potenziarlo; con benefici sia per i candidati, sia per i team di recruiting. L’AI può essere impiegata per aprire nuove prospettive di carriera ai candidati e allo stesso tempo per aiutare i recruiter a prendere decisioni più efficaci e imparziali. È l’approccio ibrido, che combina AI e sapere umano, che può garantire i migliori risultati. Tuttavia, l’intelligenza artificiale non è priva di rischi. Un approccio responsabile è fondamentale per garantire processi di selezione equi ed efficaci per tutti. In Indeed, ci avvaliamo di un comitato etico dedicato, composto da esperti multidisciplinari (ingegneri, sociologi, antropologi, ecc.), per garantire un uso responsabile dell’IA nel processo di selezione”.
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