di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Il dl Bollette approvato alla Camera passa al Senato per la probabile definitiva lettura. Tuttavia, prima ancora della sua nascita è già vecchio. Il provvedimento, che destina 3 miliardi di aiuti a famiglie e imprese contro il caro energia, è stato infatti presentato il 28 febbraio, ma ideato a inizio anno quando il prezzo del petrolio si aggirava intorno agli 80 dollari al barile mentre quello del gas sfiorava i 60 per megawattora sulla Borsa di Amsterdam. Ora, che siamo rispettivamente a 65,2 dollari e 33,5 euro, quindi con un calo superiore al 15% nel primo caso e di quasi il 50% nel secondo, ha ancora senso un tale decreto di emergenza?
Forse no. O forse si, vista la volatilità del prezzo dell’energia e soprattutto lo svantaggio competitivo delle imprese italiane, specie quelle energivore. Vedremo naturalmente quale sarà l’applicazione di tale decreto e come verranno gestiti i fondi. Tuttavia è evidente il cortocircuito tra uno scenario che cambia alla velocità della luce e strumenti finanziari e istituzionali con tempi di reazione decisamente più lenti. Nel Def, o Dpb, c’è giustamente scritto poco e niente perché nell’attuale contesto internazionale sarebbe poco sensato provare a vaticinare qualche previsione. Tuttavia, anche il poco che c’è scritto è superato dagli eventi.
Nel Def-Dpb il Governo aveva dimezzato le stime di crescita da 1,2% a 0,6% quale effetto del rallentamento del commercio internazionale e, quindi, della crescita globale. Poi è arrivato il dietrofront di Trump, con la sospensione dei dazi per 90 giorni. Sarebbe paradossale, ma a questo punto si dovrebbero riportare in alto le stime del Def, anche se solo fino al prossimo cambio di rotta della Casa Bianca. Forse, nella bulimia che contraddistingue l’Amministrazione Usa, si può anche lasciar scritto quello che c’è, e vedere come vanno le cose.
D’altra parte i Documenti di finanza pubblica hanno una impostazione più minimalista rispetto al passato. E questo per effetto delle regole del nuovo Patto di Stabilità, che riducono i contenuti programmatici. Ad aprile, per esempio, si prevede solo un tagliando al Piano strutturale di bilancio approvato a ottobre. Forse uno snellimento ragionevole. In passato i numeri e programmi di primavera sono sempre stati scritti sulla sabbia, smentiti poco dopo dalla realtà, invecchiavano ben prima della nota di aggiornamento autunnale (NaDef), ma già da inizio estate, in un paio di mesi, quando il Governo cominciava a impostare la legge di Bilancio.
Allargando l’inquadratura ci sono tanti altri casi in cui provvedimenti normativi diventano obsolescenti ben prima di vedere la luce. Il ddl sull’Intelligenza artificiale o il Salva-Milano, solo per rimanere alle ultime settimane. L’annuncio di voler destinare 25 miliardi di aiuti alle imprese colpite da dazi di Trump utilizzando i soldi del Pnrr e dei Fondi di Coesione ha avuto un’emivita di 24 ore. E questo nonostante la rimodulazione del Pnrr e dei Fondi di Coesione sia già in atto da mesi. Tra l’altro, la quarta da quando il Piano è partito. D’altra parte il Pnrr ha una prospettiva di sei anni, come se fosse figlio dei vecchi piani quinquennali, anche se è nato in un’epoca diversa.
Si dice spesso che oggi la politica sia obbligata a inseguire la realtà, a essere follower, sempre in ritardo come il Bianconiglio. Nonostante una certa commistione di funzioni tra Governo e Parlamento sia in atto ormai da decenni, nonostante l’eccesso di decretazione di urgenza o il fatto che l’iniziativa legislativa sia prevalentemente nelle mani del Governo, le istituzioni delle liberaldemocrazie faticano a tenere il passo degli eventi. Con Trump questo diverso ritmo è diventato palese. E c’è chi dice che gli strumenti finanziari, come le norme sulle nuove tecnologie o sul commercio internazionale – specie al rischio di un nuovo blocco come quello del 2021 – seguano un altro paradosso, quello di Achille e la tartaruga: per quanto possano andare veloce, non toccano mai la realtà. (Public Policy)
@m_pitta
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