«Ridurre la discussione sul nucleare a una mera contrapposizione tra Small Modular Reactor (Smr) e reattori di terza generazione sarebbe un errore». È uno dei molteplici temi che il presidente dell’Associazione Italiana Nucleare (Ain), Stefano Monti, ha discusso con Industria Italiana. Lo spunto è dato dal fatto che l’energia nucleare è tornata al centro del dibattito italiano, tra aperture politiche e discussioni sulle tecnologie più adatte. Le recenti dichiarazioni di Carlo Calenda al direttore di Industria Italiana (che potete vedere qui) hanno riacceso il confronto su quale strada sia più efficace per riportare l’energia atomica nel nostro paese. Il leader di Azione ha espresso forti dubbi sulla maturità tecnologica degli Smr, sostenendo che sia preferibile puntare direttamente sui reattori di terza generazione, sfruttando i siti nucleari già individuati in passato. Ha inoltre evidenziato le difficoltà burocratiche e le resistenze locali che, a suo avviso, renderebbero irrealistico un piano basato su nuove tecnologie e su un’implementazione troppo dilazionata nel tempo.
Non bisogna dimenticare che la filiera industriale italiana comprende importanti attori nel mondo della ricerca, dell’università e dell’industria, con competenze sviluppate anche nel contesto del nucleare tradizionale. Newcleo, fondata nel 2021 da Stefano Buono, ex ricercatore del Cern, è una delle realtà più promettenti nel panorama del nucleare di quarta generazione. L’azienda ha sede a Londra ma sviluppa le sue attività principalmente tra Italia, Francia e Regno Unito, con un team di oltre 1.000 dipendenti altamente specializzati e una rete di oltre 90 partnership industriali e accademiche. Tra le realtà più rilevanti si segnalano: Asg Superconductors, Fincantieri, Eni, Simic, Walter Tosto, Edison, Sogin. Costruttori come Atb Riva Calzoni, Belleli energy, Mangiarotti, Officine Luigi Resta, Simic, Stf Loterios. Forge e acciaierie come Csc, Dillinger Italia, Ferrari Flange, Foc, Fomas, Giva Group, Ibf Group, Industeel Italia, Monchieri, Morandini, Tectubi Raccordi, Valbruna, Voest Italia.
Abbiamo interpellato l’Associazione Italiana Nucleare (Ain) per fare chiarezza sullo stato della tecnologia e sulle priorità necessarie per un vero ritorno dell’energia nucleare in Italia. A rispondere è il presidente Monti, già responsabile del programma sui reattori avanzati dell’Aiea. Per Monti l’Italia non è ancora pronta a implementare un programma nucleare, indipendentemente dalla tecnologia scelta. Senza un sistema regolatorio chiaro, un’industria capace di sostenere il programma e una strategia di finanziamento efficace, qualsiasi discussione sulle tecnologie rischia di essere prematura. Monti sottolinea inoltre che il dibattito italiano è spesso scollegato dalla realtà internazionale. Mentre Cina e Russia hanno consolidato la loro leadership nel settore con reattori di nuova generazione già operativi, i Paesi occidentali – tra cui l’Italia – si trovano a dover recuperare terreno. L’Europa sta cercando di colmare il divario attraverso iniziative come la European Smr Industrial Alliance, ma il tempo stringe: senza un’accelerazione immediata, il rischio è che il nostro paese rimanga escluso da un settore strategico per la sicurezza energetica e la transizione ecologica.
D. Ingegner Monti, Ain ha accolto con favore il rinnovato interesse politico per il nucleare. Qual è la vostra posizione?
R. Come Associazione Italiana Nucleare, diamo il benvenuto a tutte le forze politiche che sostengono la ripresa del nucleare per usi pacifici in Italia. Tuttavia, deve essere chiaro un punto: non possiamo sviluppare un programma nucleare autarchico. Il nucleare è per sua natura un settore che si fonda su collaborazione internazionale, economie di scala e standard di sicurezza globali. Per questo, la nostra prospettiva è perlomeno europea. Un’industria nucleare competitiva non può basarsi esclusivamente sul mercato italiano: servono una visione sovranazionale e una strategia industriale condivisa.
D. Il Governo ha recentemente approvato un decreto per il rilancio del nucleare. Qual è la sua importanza?
R. Il decreto è un passo importante perché getta le basi legislative per il ritorno del nucleare in Italia. Ci aspettiamo che la legge delega al Governo venga approvata rapidamente dal Parlamento per poi procedere alla emanazione dei Decreti applicativi previsti dallo stesso ddl. Ain ha partecipato alla Piattaforma Nazionale per il Nucleare Sostenibile, fornendo un contributo fondamentale nella definizione degli aspetti tecnologici, di scenario, regolatori e di comunicazione al grande pubblico. Tuttavia, dobbiamo stare attenti a non trasformare il dibattito in una sterile discussione sulle sole tecnologie di riferimento. Il decreto non si concentra sugli Smr o sugli Amr, ma fa riferimento in generale ai reattori avanzati di ultima generazione, garantendo una neutralità tecnologica che è fondamentale per poter scegliere le soluzioni migliori nel momento opportuno.
D. Quanto tempo servirà per vedere il nucleare operativo in Italia?
R. Se il Parlamento approverà rapidamente la legge delega e se i decreti applicativi verranno promulgati entro i 12 mesi successivi come previsto dal ddl, si potrà procedere speditamente al rafforzamento delle infrastrutture di base, e potremmo così avere reattori operativi nei prossimi 8-10 anni. La prima cosa da fare è costruire un sistema regolatorio solido, potenziare l’autorità di sicurezza (attuale ISIN, ndr) con risorse quantitativamente e qualitativamente adeguate, creare le condizioni industriali e tecnologiche per avviare il programma. La comunicazione scientificamente corretta è altrettanto essenziale: bisogna spiegare ai cittadini perché il nucleare è una scelta strategica, non una questione ideologica. Senza un consenso informato, non si può pensare di procedere. Paesi come gli Emirati Arabi Uniti hanno connesso in rete quattro grandi reattori in dieci anni, partendo da zero. Noi abbiamo competenze rilevanti e industrie pronte, ma il tempo stringe. Dobbiamo agire subito.
D. C’è molta confusione sulle diverse tipologie di reattori. Può chiarire quali sono le principali categorie?
R. L’Aiea delle Nazioni Unite che serve 180 paesi da tutto il mondo classifica i reattori avanzati in tre categorie principali. Reattori avanzati attuali (Current Advanced Reactors): sono i reattori di cosidetta terza generazione già in funzione o in costruzione. Rappresentano le tecnologie avanzate più provate e sicure disponibili oggi sul mercato. Reattori evolutivi (Evolutionary Reactors): sono un’evoluzione delle tecnologie esistenti. Offrono ulteriori miglioramenti in termini di sicurezza ed efficienza, ma derivano da reattori già collaudati che hanno accumulato una esperienza operativa di quasi 20,000 anni.reattore. Alcuni SMR appartengono a questa categoria e necessitano solo di test confirmatori e ingegneristici prima della certificazione per uso commerciale. Infine, Reattori innovativi (Innovative Reactors): sono anche detti della quarta generazione e includono tecnologie come i reattori veloci a metallo liquido o i reattori a sali fusi. Sebbene un certo numero di reattori veloci raffreddati a sodio abbiano già operato con successo in vari paesi e ve ne siano attualmente in esercizio un paio di taglia industriale in Russia, quelli di cosidetta IV generazione, o meglio innovativi, sono ancora in fase di sviluppo e richiedono ulteriori investimenti in ricerca, sviluppo e sperimentazione prima di poter essere pronti per il licensing e poi commercializzati. Per essi occorre anche sviluppare materiali, combustibili e cicli del combustibile avanzati e dunque se ne prevede l’utilizzo commerciale tra 10-15 anni.
D. Gli Smr sono la tecnologia più adatta per l’Italia?
R. Come per tutte le tecnologie industriali, c’è uno sviluppo e un miglioramento continuo anche nel settore nucleare. E come per tutte le tecnologie industriali, occorrerà scegliere la tecnologia disponibile più adatta all’Italia nel momento in cui saremo pronti per questa scelta. Gli Smr evolutivi, basati su tecnologie raffreddate ad acqua già esistenti, sono vicini alla maturità e potrebbero essere una soluzione disponibile anche in occidente in tempi brevi (come lo è già in Russia e in Cina). Gli Smr innovativi, invece, necessitano ancora di ricerca, sviluppo e sperimentazione. La questione che si pone oggi per l’Italia non è tanto la tecnologia, ma le condizioni di contesto: il nucleare non è un iPhone, non si cambia modello ogni anno. Bisogna prima di tutto creare le infrastrutture di base, prime fra tutte le competenze nei vari settori ed il quadro normativo, affinché qualsiasi tecnologia nucleare possa essere implementata in Italia nei tempi sopra menzionati.
D. I reattori evolutivi sono già disponibili sul mercato?
R. In parte, sì. Alcuni paesi come Russia e Cina hanno già reattori SMR di tipo evolutivo in esercizio o in fase avanzata di costruzione. Tuttavia, nel mondo occidentale, il processo di certificazione licensing è ancora in corso. Ad esempio, in America ed in Europa diversi Smr evolutivi sono in fase di progettazione avanzata, ma serviranno alcuni anni prima di vederli operativi su larga scala.
D. L’Occidente ha accumulato un ritardo rispetto a Cina e Russia nel nucleare. Quali sono le cause?
R. La situazione è chiara: per scelte politiche poco lungimiranti, il mondo occidentale ha diminuito grandemente il supporto, e dunque rallentato lo sviluppo, del nucleare, favorendo quasi esclusivamente le energie rinnovabili. Questo ha portato a una perdita di competenze e infrastrutture e ad un depauperamento della supply chain, mentre altri paesi, come Cina, Russia e India, hanno continuato a investire nel settore in maniera costante. Oggi ci rendiamo conto dell’errore e stiamo cercando di rimediare, accelerando in particolare lo sviluppo dei reattori evolutivi e innovativi, inclusi di tipo SMR.
D. Qual è la strategia dell’Europa per recuperare il tempo perduto?
R. A livello Ocse, tutti i Paesi stanno cercando di colmare il ritardo nei vari settori. Tredici paesi europei hanno annunciato nuove realizzazioni nei prossimi anni, sia di reattori avanzati di grande taglia sia di SMR. La Germania, che aveva chiuso con il nucleare, sta riaprendo proprio in questi giorni il dibattito. Anche la Commissione Europea, spinta dagli stati membri sempre più interessati alla ripartenza del nucleare, sta lavorando per riportare il nucleare avanzato tra le fonti energetiche strategiche. Un esempio concreto è la European Smr Industrial Alliance, che coinvolge 337 organizzazioni europee, di cui 50 italiane. L’obiettivo è avere il primo reattore SMR evolutivo operativo entro il 2030. È un processo che richiede investimenti e una forte e costante volontà politica, ma è l’unica strada per ridare competitività all’industria nucleare occidentale nel mercato globale.
D. Quali sono le principali sfide per il ritorno del nucleare in Italia?
R. Dovremmo concentrarci un po’ meno sulle tecnologie e affrontare i problemi concreti di oggi. Sono cinque le priorità per un ritorno efficace del nucleare. Innanzitutto Regolamentazione e sicurezza: serve un’autorità di sicurezza nucleare forte, ben finanziata e con le competenze necessarie per stabilire i criteri di sicurezza anche per I reattori avanzati e poi certificare e licenziare rapidamente i nuovi impianti. Poi industria e supply chain: dobbiamo rafforzare l’industria italiana, che oggi conta più di 70 aziende in grado di operare nel settore, ma che potrebbe arrivare a oltre 400 imprese coinvolte. Senza dimenticare i finanziamenti adeguati: il nucleare, come le rinnovabili, ha bisogno di schemi di sostegno e agevolazione finanziaria mirati per portare a maturazione le tecnologie ancora in via di sviluppo e per garantire la competitività. Poi focus su formazione e competenze: serve una nuova generazione non solo di di ingegneri nucleari che l’Italia già forma in numero comparabile ai paesi nuclearizzati, ma anche ingegneri delle varie discipline, fisici, chimici, ecc. in grado di operare in ambiente nucleare, nonchè esperti di sicurezza, security e salvaguardie, tecnici specializzati e operatori di impianto. Infine l’accettabilità pubblica: il nucleare non si farà senza il supporto ed il coinvolgimento della popolazione. Una corretta comunicazione scientifica è essenziale per contrastare la disinformazione e spiegare i reali benefici della tecnologia. Se seguiamo questa strada, il nucleare in Italia può diventare una realtà concreta entro il prossimo decennio.
D. L’energia nucleare richiede investimenti elevati. Quali strumenti finanziari servono?
R. L’energia è un bene essenziale e strategico, come l’acqua o le reti di trasporto, e come tale richiede politiche di investimento a lungo termine. Nessun Paese al mondo ha sviluppato il nucleare senza una forma di supporto finanziario pubblico, che poi ha favorito anche quello privato, così come è avvenuto per le rinnovabili, che in Europa hanno beneficiato di 2-3 trilioni di euro di incentivi. L’Italia ha investito 250 miliardi di soldi pubblici nelle rinnovabili, eppure oggi il nostro sistema energetico è ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili con tutte le conseguenze negative su emissioni di gas climalteranti, prezzi alti e volatili, forte dipendenza dalle importazioni da paesi extra-europei. Il nucleare può garantire energia sicura, decarbonizzata e a prezzi stabili, ma servono strumenti finanziari adeguati, come garanzie pubbliche sugli investimenti e schemi di finanziamento agevolati per le aziende che vogliono investire e partecipare alla filiera.
D. Chi deciderà quali tecnologie verranno adottate in Italia?
R. Non saranno i politici o le organizzazioni di ricerca a scegliere la tecnologia più adatta, ma il futuro possessore e operatore dell’impianto nucleare, cioè la utility che pagherà l’impianto e lo esercirà. Il responsabile della sicurezza non è l’autorità di controllo, ma l’operatore dell’impianto, che dovrà rispondere alle normative e garantire che tutto funzioni nel rispetto degli standard più elevati e degli utility requirements. Questo significa che la selezione della tecnologia avverrà secondo criteri tecnici, economici e di sicurezza, e non su basi ideologiche.
D. Qual è il ruolo della NewCo tra Enel, Ansaldo Energia e Leonardo nel futuro nucleare italiano?
R. La creazione della NewCo tra Enel, Ansaldo Energia e Leonardo è un passaggio fondamentale. Questo consorzio industriale avrà il compito di definire i requisiti per i futuri impianti nucleari e di valutare quali tecnologie di interesse del Paese sono effettivamente disponibili nei tempi previsti dal programma. Si tratta di fare una scelta oculata e meditata sulle varie opzioni esistenti, applicando criteri rigorosi per identificare le soluzioni migliori. Ogni paese che ha sviluppato il nucleare con successo ha seguito questo percorso, e l’Italia, se non vuole seguire un pericoloso approccio autarchico, non può fare eccezione.
D. Quali criteri verranno adottati per la selezione delle tecnologie nucleari in Italia?
R Quando si parla di tecnologia nucleare, non si può scegliere sulla base di ideologie o preferenze politiche. La selezione dipenderà da criteri rigorosi, come la sicurezza, la maturità tecnologica, l’esperienza operativa da parte di altri paesi e la capacità di costruire una parte significativa dell’impianto in Italia da industrie italiane. Nessuna utility può permettersi di investire in un reattore che non esiste ancora o che è in fase di ricerca e sviluppo. Per questo, la scelta dovrà ricadere su tecnologie che, al momento opportuno, siano già disponibili o che saranno pronte entro i tempi di implementazione del programma. L’orizzonte realistico è il 2030, periodo necessario per sviluppare le varie infrastrutture di base di cui parlavo prima.
D. L’industria italiana è in grado di contribuire alla filiera nucleare?
R. L’industria italiana ha una tradizione d’eccellenza, ma va potenziata. Quando parlo di eccellenza, non mi riferisco solo alle ben note Ansaldo Nucleare, Enel, Newcleo di cui spesso parla nei media. Le faccio un eempio concreto e significativo. L’altro giorno sono stato alla Walter Tosto di Ortona, una delle realtà più importanti per la realizzazione di grandi componenti anche per l’industria nucleare, e ho visto dal vivo uno dei 9 settori della vacuum vessel del reattore a fusione Iter in via di realizzazione presso il sito francese di Cadarache. Un componente tecnologicamente avanzatissimo alla frontiera della tecnologia nucleare, che dimostra il valore mondiale della nostra industria. Noi siamo stati più bravi dei coreani, che in quel progetto hanno pure provocato ritardi. Come dicevo di realtà industriali paragonabili, nel loro settore, a Walter Tosto in Italia ne abbiamo a decine. Questo dimostra che le aziende italiane possono giocare un ruolo chiave nel nucleare, non solo a livello nazionale, ma anche internazionale.
D. Quante aziende italiane sono già attive nel nucleare?
R. Abbiamo 60-70 aziende italiane che operano ai massimi livelli nel settore nucleare mondiale, soprattutto all’estero. Ma la filiera potrebbe essere molto più ampia: ai tempi del progetto EPR pre-2011, Confindustria stimava che circa 400 aziende italiane avrebbero potuto lavorare nel settore. Ora, con il nuovo piano nucleare, molte aziende si stanno avvicinando alla AIN, interessate a capire come entrare nella filiera. E non si tratta solo di grandi gruppi come ad esempio Ansaldo Nucleare: anche un’operazione apparentemente semplice come una saldatura richiede operatori certificati per il nucleare, con competenze e controlli specifici. La formazione è quindi un elemento chiave per ampliare la capacità produttiva del settore.
D. Riutilizzare i vecchi siti nucleari italiani è una soluzione tecnicamente ed economicamente valida?
R. È una possibilità da considerare, ma non è una decisione che si può prendere a tavolino. Servono studi geologici e di compatibilità tecnologica e infrastrutturale. Se quei siti erano idonei una volta, è probabile che lo siano ancora, ma non si può dare per scontato. Inoltre, bisogna valutare la disponibilità di acqua, la presenza di infrastrutture e logistiche adeguate, oltre che l’eventuale resistenza delle comunità locali. La fattibilità dipende anche dalla tipologia di reattore che si intende installare: a seconda che si opti per Smr o reattori avanzati di grande taglia, le esigenze ed i requisiti possono cambiare. Dunque, i vecchi siti possono essere una buona opzione, ma non è detto che sia l’unica.
D. Potrebbero esserci nuove aree più adatte?
R. Sì, è possibile. Oggi, con le tecnologie disponibili, possiamo considerare anche siti alternativi. Ad esempio, gli Smr, essendo più piccoli e richiedendo ad esempio meno acqua per la sorgente fredda, potrebbero essere collocati in zone che non erano idonee per le centrali di grande taglia. Tuttavia, la scelta finale deve essere fatta con criteri scientifici e ingegneristici, non politici. La Iaea individua ben 19 infrastrutture di base che un Paese deve sviluppare prima di avviare un programma nucleare, e la selezione dei siti è una di queste.
D. Quindi prima ancora di parlare di tecnologia bisogna pensare alle infrastrutture?
R. Esattamente. Se non hai un’autorità di sicurezza nucleare adeguata, con personale qualificato e risorse sufficienti, il progetto rischia di bloccarsi. È uno dei motivi per cui progetti come l’EPR a Flamanville in Francia hanno accumulato anni di ritardo, con rilevanti extra costi per l’utility. In Italia, attualmente, abbiamo un Ispettorato, ma non una vera Autorità di Sicurezza. Il decreto del Governo prevede di elevare questo organismo a un’autorità con pieni poteri di licensing, ed è un passaggio essenziale. Anche la comunicazione è cruciale: il pubblico deve capire perché il nucleare è necessario e come può essere realizzato in sicurezza. Non basta dire ‘costruiamo una centrale’, serve un piano serio di formazione, regolamentazione e comunicazione.
D. Gli investitori privati entreranno nel nucleare senza infrastrutture solide?
R. Non credo proprio. Nessuna utility investirà miliardi in un impianto se non vede un quadro regolatorio chiaro e tempi certi. Se non ci sono infrastrutture adeguate e se l’autorità di sicurezza non è operativa, il rischio di ritardi aumenta, e con esso i costi. Chi investirebbe in un progetto che potrebbe rimanere fermo anni senza certezza di realizzazione? Prima si creano le condizioni favorevoli, poi arrivano gli investimenti. Questo è il principio con cui si lavora a livello internazionale.
D. Uno dei temi centrali nel dibattito sul nucleare è la regolamentazione. Qual è la situazione attuale in Italia?
R. Il quadro regolatorio italiano necessita di un rafforzamento significativo che deve fare necessariamente riferimento agli standard internazionali ed europei. Al momento, non abbiamo una vera Autorità di Sicurezza Nucleare, ma solo un Ispettorato, che non ha le risorse adeguate per gestire un programma nucleare di nuova generazione. Il decreto del Governo prevede di trasformare l’Ispettorato in una vera autorità, con il mandato di occuparsi delle certificazioni (licensing) e della supervisione degli impianti. Questo richiede un investimento in competenze e risorse finanziarie, perché non si può improvvisare: servono esperti qualificati, formazione continua e una chiara strategia operativa.
D. Quanto tempo ci vorrà per costruire un’Autorità di Sicurezza Nucleare efficace?
R. Non è un processo che si può completare dall’oggi al domani. Serviranno alcuni anni, perché bisogna assumere giovani ingegneri, formarli e farli lavorare con esperti internazionali. L’esperienza non si crea in pochi mesi: dobbiamo mandare tecnici all’estero, in paesi che non hanno mai smesso di fare nucleare, per imparare da chi ha mantenuto le competenze. È un percorso che va affrontato con serietà, perché senza un’autorità forte ed efficiente, qualsiasi piano nucleare rischia di restare solo sulla carta.
D. Oltre alla regolamentazione, quali altre infrastrutture servono per un ritorno del nucleare?
R. L’energia nucleare non è solo tecnologia, ma richiede un’intera infrastruttura di supporto. Uno dei temi chiave è il combustibile ed il relativo: bisogna pianificare dove e come verrà trattato e stoccato il combustibile irraggiato, con impianti sicuri e regolamentati. Un altro aspetto fondamentale è la comunicazione: il nucleare è una tecnologia avanzata che viene spesso strumentalizzata nel dibattito pubblico. In un sistema democratico come il nostro, l’accettabilità pubblica è determinante. Non possiamo pensare di avviare un programma nucleare senza una strategia di informazione chiara e trasparente per i cittadini.”
D. Qual è il problema principale nella comunicazione sul nucleare?
R. Il problema è che per troppi anni il nucleare è stato raccontato in modo approssimativo e scorretto, quasi fosse un tema ideologico e non un’opzione tecnologica. L’energia è un sistema complesso, e pensare di risolvere tutto con fotovoltaico ed eolico è una semplificazione fuorviante. Le rinnovabili sono fondamentali, ma hanno dei limiti: sono intermittenti, occupano grandi superfici di territorio, la loro penetrazione aumenta notevolmente la instabilità delle rete ed i costi di sistema che possono diventare paragonabili a quelli di sola produzione (cosidetto LCOE, Livelized Cost of Electricity). Oggi, il sistema energetico italiano dipende ancora dal gas per garantire la stabilità della rete. Il problema è che il gas è climalterante e soggetto a forti oscillazioni di prezzo, che mettono a rischio la competitività industriale del paese. L’energia nucleare, invece, offre una produzione di qualsiasi vettore energetico (elettricità, calore, idrogeno,…) in grandi quatità, stabile, programmabile e con emissioni di CO2 virtualmente nulle. È questo che dobbiamo spiegare al pubblico.
D. In conclusione, quali sono i prossimi passi concreti per il nucleare in Italia?
R. Primo, approvare rapidamente il decreto delega ed i relativi decreti applicativi. Secondo, potenziare l’Autorità di Sicurezza nucleare per renderla operativa in tempi brevi. Terzo, creare un sistema di formazione per il personale tecnico e ingegneristico. Quarto avviare da subito un programma di comunicazione capillare a partire dalle scuole fino ad arrivare al grande pubblico e alle popolazioni interessate. E questi quattro punti dovrebbero essere portati avanti da subito e in parallelo. Senza queste basi, discutere di tecnologie è prematuro. La Newco tra Enel, Ansaldo e Leonardo sarà fondamentale per la selezione delle tecnologie, ma deve avere un quadro stabile su cui lavorare. Se il governo, le istituzioni e l’industria seguiranno questo percorso, potremo vedere il nucleare ripartire in Italia in modo serio e concreto nei prossimi anni.
(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 17 marzo 2025)
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