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che succede a chi coltiva cannabis light


Il decreto-legge sulla sicurezza approvato dal governo è ufficialmente entrato in vigore, introducendo diverse novità tra cui il divieto totale del settore della cosiddetta cannabis light. A partire da sabato 12 aprile, la coltivazione di canapa sativa finalizzata alla vendita nei negozi sono diventate attività illegali, esponendo agricoltori e commercianti al rischio di sequestri e denunce. Un colpo terribile al giro d’affari di questo settore, pari a mezzo miliardo di euro e che dà lavoro in pianta stabile a 10mila persone.

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Cosa dice l’articolo 18

L’articolo 18 del decreto sicurezza stabilisce il divieto di “importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze di canapa”. Una misura giustificata dalla necessità, secondo il testo, di prevenire “comportamenti che possano mettere a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica, nonché la sicurezza stradale”.

A partire da sabato, tutti gli imprenditori agricoli e i commercianti attivi nel settore del Crd e dei suoi derivati si trovano esposti al rischio di sequestri e denunce per violazione del Testo Unico sugli stupefacenti, l’insieme di norme che regolano l’uso e la distribuzione di queste sostanze. L’unica eccezione ammessa riguarda chi opera nel settore florovivaistico, e solo per la produzione di semi. Già ad agosto dello scorso si era arrivati a questa situazione, ma in quel caso il Tar del Lazio bloccò il divieto.

Nel frattempo, le associazioni che rappresentano coltivatori e rivenditori stanno ricevendo un’ondata di richieste di consulenze legali e di chiarimenti pratici su come muoversi. Molti operatori, per precauzione, hanno scelto di sospendere le attività produttive o di chiudere temporaneamente i punti vendita, nel tentativo di evitare sanzioni.

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Via ai ricorsi

La prima mossa si gioca sul fronte civile. Gli imprenditori del settore contestano al governo la violazione della direttiva europea sulla trasparenza del mercato unico, la cosiddetta Single Market Transparency Directive, numero 1535 del 2015. In particolare, l’articolo 5 della direttiva impone agli Stati membri di notificare alla Commissione europea ogni progetto di norma tecnica che possa influenzare gli scambi commerciali. L’obiettivo è garantire la tutela del mercato unico: spetta infatti a Palazzo Berlaymont informare gli altri Stati membri e raccogliere eventuali osservazioni. È la cosiddetta procedura Tris.

Una volta ricevuta la notifica, l’articolo 6 stabilisce che l’adozione della norma debba essere sospesa per tre mesi. Secondo le associazioni della canapa, però, il governo italiano avrebbe ignorato questo passaggio obbligatorio, procedendo senza la necessaria trasparenza nei confronti di Bruxelles. Per questo motivo si è deciso di ricorrere al tribunale civile.

Quanto è grande il giro d’affari

L’Associazione Imprenditori Canapa Italia era già intervenuta sul tema lo scorso 24 ottobre 2024, nel corso di un’audizione al Senato. In quell’occasione aveva subito evidenziato le criticità del provvedimento, denunciando la mancanza di distinzione tra infiorescenze contenenti Thc e quelle con cannabinoidi non psicotropi come Cbd e Cbg, l’assurdità di un fiore considerato “legale solo se ha semi” e l’assenza di una normativa transitoria per gestire le scorte già presenti sul mercato.

A essere in bilico, secondo l’associazione, è un comparto che coinvolge circa 30mila lavoratori: 10mila assunti a tempo indeterminato e 20mila stagionali, impegnati da maggio a dicembre nei campi per la semina, la raccolta e le fasi iniziali di lavorazione della canapa. Le aziende attive nella filiera sono circa 3mila: 1.600 agricole, 800 negozi specializzati in cannabis light e 600 imprese dedicate alla trasformazione.





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