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Banche e imprese: un rapporto da ricostruire


L’ultimo aggiornamento di “Banche e Moneta”, curato dalla Banca d’Italia, segnala che “a febbraio i prestiti al settore privato, … , sono rimasti stabili sui dodici mesi (-0,3 nel mese precedente). I prestiti alle famiglie sono aumentati dello 0,7 % (0,4 nel mese precedente) mentre quelli alle società non finanziarie sono diminuiti del 2,1 % (come nel mese precedente).”

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È quindi alle imprese che il governatore Panetta si riferiva quando, intervenendo al Congresso ASSIOM FOREX, evidenziava che «la contrazione del credito richiede attenzione».

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Nella parte finale del 2024 le banche hanno segnalato andamenti divergenti della domanda e dell’offerta di credito per le diverse classi dimensionali di impresa. Per le società più grandi viene segnalato un leggero aumento della domanda e un modesto allentamento dei criteri di concessione; per quelle di minore dimensione un ulteriore calo nelle richieste di prestiti e un nuovo irrigidimento dei criteri di offerta. 

Nell’analisi del governatore la debolezza della dinamica del credito sarebbe soprattutto un problema di domanda, un’interpretazione su cui la Banca d’Italia insiste da tempo. In questa fase congiunturale le imprese registrano da un lato una buona redditività (e quindi capacità di autofinanziamento), dall’altro lato si confrontano con un debole andamento dell’attività ed esprimono una modesta propensione agli investimenti. Non mancano segnali più favorevoli che però appaiono nel complesso deboli e poco stabili.

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Sulla condizione congiunturale delle imprese utili indicazioni provengono dal Cerved. Tra gli altri indicatori da segnalare quello dei mancati pagamenti che si mantiene sostanzialmente stabile, registrando un limitato aumento nell’industria e una parallela diminuzione nel settore delle costruzioni dove il fenomeno è da tempo più grave.

A supportare il cauto ottimismo del governatore è anche la dinamica della qualità del credito. Da un lato, il contenuto aumento del flusso dei prestiti deteriorati del comparto delle imprese è attribuibile agli effetti del rialzo dei tassi negli anni scorsi; dall’altro lato, ulteriori progressi vengono registrati nella gestione dei prestiti in difficoltà, un’evoluzione che tendenzialmente consente alle aziende di credito di valutare “in modo più sereno” le domande di finanziamento.

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In effetti, l’aggiornamento della nota sulla capacità di recupero delle sofferenze pubblicato nel dicembre scorso con riferimento al 2023 (cfr. Banca d’Italia, Note Stabilità N. 43) propone molti segnali favorevoli: l’ulteriore ridimensionamento delle consistenze, i progressi nella gestione di questi crediti (quasi il 90% delle posizioni viene chiuso entro tre anni dalla classificazione a sofferenza); l’aumento del tasso di recupero sia per le posizioni assistite da garanzie reali (al 41%) sia per quelle che ne sono prive (al 28%); aumento del prezzo di cessione delle sofferenze in presenza di garanzia (al 34%) e invarianza in loro assenza (al 12%).

Nell’insieme, lo scenario dei finanziamenti delle imprese italiane si presenta come una nebulosa da cui è difficile ricavare le risposte alle domande-chiave decisive per definire gli sviluppi futuri. Alcuni affidabili osservatori (cfr. ad esempio Rony Hamaui su la voce.info) segnalano una emergenza nel finanziamento delle imprese, quindi in dissenso dal cauto ottimismo del governatore. Questa più negativa visione dello scenario non nega l’esistenza di fattori congiunturali che possano indebolire la domanda di prestiti delle imprese, ma conclude propendendo per un problema dal lato dell’offerta di cui invita a prendere atto.

Queste analisi si muovono in una prospettiva temporale più ampia, che porta a qualificare il problema in senso strutturale, piuttosto che congiunturale. Una prima evidenza cui viene attribuita particolare importanza è che la contrazione dei prestiti interessa tutte le imprese ma è molto più pronunciata per quelle minori (fino 20 addetti). I dati di febbraio 2025, in effetti, evidenziano chiaramente una flessione più significativa per le imprese con meno di 20 addetti (-8,9% a fronte di -1,6% per le società di maggiore dimensione) e per i comparti della manifattura e delle costruzioni. Le imprese minori entrate in territorio negativo dal 2022, hanno visto la loro situazione divenire progressivamente più grave. Anche i prestiti alle altre imprese (quelle medio grandi) si riducono ma da inizio 2023, con intensità sempre minore rispetto alle imprese più piccole e in misura non trascurabile per effetto di rimborsi.

Non si tratta solo di questo. Rispetto a 10 anni fa l’ammontare nominale dei prestiti alle imprese risulta in Italia diminuito di 200 mld (-24%, da 841 a 639 mld), una contrazione ovviamente più severa se la quantificazione viene fatta in termini reali. Nello stesso periodo i finanziamenti alle famiglie crescono invece di circa 70 mld.

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Su quest’ultimo aspetto è importante soffermarsi. Nella decade 2015-25 la quota dei prestiti alle imprese non finanziarie diminuisce di 6,7 punti percentuali, quella dei prestiti alle famiglie cresce di 9,3 pp. In Spagna il trend è simile a quanto visto in Italia ma di intensità minore (-3,2 e +3,5 pp, rispettivamente). In entrambi i paesi il processo si accompagna ad una significativa riduzione del totale prestiti (-12,1% per l’Italia, -13,6% per la Spagna). In definitiva, quello che è avvenuto in entrambi i paesi, più che una ricomposizione del portafoglio prestiti, si qualifica come un disimpegno sul fronte delle imprese.

Cosa succede nell’area euro? Nell’insieme dell’area la crescita delle due principali sezioni del portafoglio prestiti è positiva e abbastanza simile, con conseguente sostanziale conferma della ripartizione (a febbraio 2025, 51% per i prestiti alle famiglie, 38% per quelli alle imprese non finanziarie). A plasmare questo andamento sono Francia e Germania che al totale dei finanziamenti bancari dell’area contribuiscono per circa il 55% (20% il peso combinato di Italia e Spagna). Nei due paesi maggiori, a subire un qualche ridimensionamento del peso relativo sono anzi i finanziamenti alle famiglie, un aspetto con limitata visibilità perché in entrambi i paesi il portafoglio prestiti totale registra una crescita significativa.

Una parte della riduzione dei finanziamenti bancari è stata compensata dalle imprese attraverso un’accresciuta raccolta di risorse sul mercato dei titoli di debito. Anche a febbraio le obbligazioni emesse dalle imprese risultano in crescita, sebbene a un ritmo inferiore rispetto a novembre (3,1% rispetto a 3,8%), riflettendo un aumento dei rimborsi. Se confrontata con il dato dell’area euro, la crescita del mercato dei corporate bond risulta in Italia particolarmente brillante con un flusso di risorse aggiuntive nell’ultimo quinquennio pari a circa 55mld. Seppure si tratti di un importo importante, tuttavia, è meno della metà rispetto al vuoto lasciato nello stesso quinquennio dalla ritirata bancaria (129mld). Inoltre, quella dei corporate bond è opzione disponibile solo alle imprese di maggiore dimensione e/o con un riconosciuto standing, quindi non alla miriade di imprese medie e piccole che compongono la struttura portante del nostro sistema economico.

Nel ripercorrere questo confronto quello che colpisce di più è il modesto spazio che a tale problematica viene riservato nel dibattito quotidiano, anche in presenza di ipotesi di aggregazione che potrebbero ampiamente rimodulare il profilo del sistema bancario nazionale. Nelle circostanze eccezionali della pandemia, la politica ha individuato strumenti eccezionali (ampia offerta di garanzie statali) per evitare che difficoltà di finanziamento potessero strozzare l’attività delle imprese. In una situazione tornata alla normalità, l’intervento pubblico è soggetto a inevitabile ridimensionamento (sta avvenendo in modo tuttavia graduale). È quindi urgente che la politica (quella con la P maiuscola) individui strumenti adeguati per offrire alle imprese minori modalità di finanziamento effettivamente accessibili.

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