Ci voleva un coraggio da leoni, per cercare di rimettere mano alle finanze del Vaticano, tanto misteriose persino all’interno stesso della Santa Sede e spesso in balìa di «mercanti nel tempio». Papa Francesco ha fatto anche questo, nei dodici anni del suo pontificato. È stato un riformatore che non ha avuto remore nell’affrontare da vicino, e in profondità, l’aspetto più secolare del Vaticano: la gestione del denaro pubblico. Una pulizia necessaria per riportare trasparenza e ripristinare la fiducia dei fedeli, anche di fronte al costante calo delle donazioni come l’Obolo di San Pietro.
L’aumento degli affitti anche ai cardinali
Nel farlo, non ha guardato in faccia a nessuno. Ha perfino tagliato gli affitti di favore ai cardinali, che ora pagano un canone di mercato per i loro appartamenti. Insomma non ci sono figure né ruoli che possono aggirare o sottrarsi alle leggi vaticane, è stato il pensiero del Papa. Quanto poi ci sia effettivamente riuscito, è un altro discorso. Anche vescovi e cardinali ora sono processati dal tribunale vaticano e non da una corte ad hoc presieduta da un cardinale come avveniva fino a pochi anni fa.
Il processo al cardinale Becciu
Il primo a farne le spese è stato il cardinale Angelo Giovanni Becciu, il potente ex Sostituto della Segreteria di Stato condannato a dicembre 2023 a cinque anni e sei mesi per peculato nel clamoroso processo sulla gestione degli oltre 600 milioni di euro di fondi riservati della Segreteria di Stato, imperniato attorno all’investimento da oltre 240 milioni nel palazzo di Londra di Sloane Avenue affidato a finanzieri come Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi, anch’essi condannati per vari reati.
Un’indagine che ha fatto emergere conflitti di interesse degli intermediari, disattenzione colpevole nelle gerarchie vaticane sul modo in cui i soldi venivano investiti, totale assenza di controlli sulle destinazioni, tanto che il Papa venne fatto diventare indirettamente, e a sua insaputa, persino socio di Lapo Elkann nella fallimentare avventura degli occhiali di Italia Independent o finanziatore del film su Elton John.
Fu uno scandalo di dimensioni mondiali che a partire dal 2019 spinse Bergoglio a modificare la gestione dei beni della Santa Sede e le procedure giudiziarie, per improntarle ai princìpi del giusto processo (che gli imputati del processo Becciu invece continuano a contestare).
L’avvio delle riforme finanziarie
Non che in passato Bergoglio non ci avesse provato. Per far riemergere l’immagine del Vaticano dopo gli scandali di Vatileaks 1, arrivato al soglio di Pietro in seguito alle dimissioni di Papa Ratzinger Francesco aveva varato una commissione, la Cosea, per valutare riforme che modernizzassero il Tesoro vaticano: un tentativo naufragato tra boicottaggi e un nuovo scandalo, il Vatileaks 2.
Ma queste vicende non hanno fermato la determinazione di Francesco: ha inciso profondamente sullo Ior, la banca del Vaticano, affidata al direttore Gian Franco Mammì, uno dei laici più potenti in Vaticano e più vicini a Bergoglio, e al presidente Jean-Baptiste De Franssu, facendo entrare l’istituto a pieno titolo nei circuiti bancari internazionali.
Francesco ha anche fatto nascere nel 2014 la Segreteria per l’Economia e il Consiglio per l’Economia e ha riformato l’Aif, poi diventato Asif, come organismo antiriciclaggio e di vigilanza prudenziale sullo Ior. Anche queste riforme hanno consentito al Vaticano di uscire dalla black list dei paradisi fiscali.
Ma in mezzo ci sono stati altri scandali che hanno per così dire anticipato quello del Palazzo di Londra. Ad indagare sui fondi della Segreteria di Stato gestiti da Becciu avevano cominciato il neo-istituito revisore generale Libero Milone, costretto poi alle dimissioni, e il prefetto per l’Economia affidato al cardinale australiano Joseph Pell, poi defenestrato da una tremenda accusa di pedofilia per la quale venne arrestato in Australia e poi assolto definitivamente.
Tutti i soldi in gestione allo Ior
Infine il Papa ha privato la Segreteria di Stato del suo patrimonio trasferendolo all’Apsa, una sorta di Tesoro del Vaticano anch’esso interessato da riforme nel senso della trasparenza: da 4 anni pubblica i bilanci. I beni appartengono tutti alla Santa Sede: gli enti cui sono intestati ne sono solo «affidatari» e l’unico gestore strumentale cui rivolgersi è lo Ior, ha disposto nel 2023 Bergoglio.
Ma le resistenze continuano ad essere forti. Né le riforme sono state completate: per esempio, il Comitato per gli investimenti che avrebbe dovuto indicare i criteri di gestione non è di fatto mai partito. La strada tracciata da Bergoglio appare comunque ormai consolidata. Si tratterà di vedere che direzione le imprimerà il nuovo Pontefice. (riproduzione riservata)
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