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Lo Stato salva le canotte di Coin: Invitalia nuova Iri?


Il Fondo di Invitalia istituito in piena emergenza pandemica per le aziende in difficoltà utilizzato oggi per salvare Coin: il gruppo statale investe 10 milioni nella nota catena italiana di grandi magazzini. Perché? Fatti, numeri e approfondimenti

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Alla fine i coin per salvare la Coin li ha messi Pantalone, ovvero lo Stato tramite Invitalia che è intervenuta pescando dal fondo Salvaguardia Imprese. La nota catena italiana di grandi magazzini d’abbigliamento da quasi 1400 dipendenti utilizzerà i fondi dell’aumento di capitale per dare attuazione al piano industriale elaborato dal nuovo amministratore delegato Matteo Cosmi, nominato sul finire della scorsa estate al posto di Ugo Turi (un passato in Montedison e Fininvest), che siede comunque tutt’ora nel consiglio di amministrazione.

COIN SENZA COIN?

La situazione non è ovviamente delle più rosee: Coin ha chiuso il 2024 con ricavi a 280 milioni e un debito di circa 240 milioni. Almeno il 60 per cento dell’esposizione debitoria è stato interessato dai 330 accordi stretti con altrettanti creditori, permettendo di guadagnare tempo. L’ingresso di un investitore istituzionale naturalmente contribuirà ad aumentare la fiducia dei fornitori nel gruppo. Ma tutto ciò non basta. Cosmi, che fino al maggio scorso era l’amministratore delegato della bresciana Industrie Saleri, ha programmi ambiziosi che prevedono il pareggio già a partire dal prossimo anno.

LE CHIUSURE IN VISTA

Come? Attraverso la chiusura di otto punti vendita su 34: nel dettaglio quelli di Roma Lunghezza, Bufalotta a cui si sono aggiunti gli store di Termini, che tirerà giù le serrande definitivamente il prossimo 31 maggio mentre il negozio di Bologna è destinato a chiudere a fine luglio (ma il gruppo, scrivono le testate locali, sarebbe già alla ricerca di nuove sedi per non abbandonare il territorio).

E poi ancora quelli di Latina, di San Donà di Piave e di Milano City Life, che non sono profittevoli da anni e che occupano un centinaio di persone che, d’intesa col Mimit (se ne era già parlato all’incontro al dicastero a inizio febbraio) e coi sindacati, anziché essere lasciate a casa saranno ricollocate all’interno del gruppo. Restano in bilico i destini dell’outlet di Sesto Fiorentino come pure del grande magazzino di Vicenza. Quest’ultimo dovrebbe arrivare almeno a fine 2025. I dettagli finali si sapranno col deposito del piano in Tribunale.

L’INGRESSO DI INVITALIA E LA SODDISFAZIONE DI URSO

Come anticipato, Invitalia entra in Coin con dieci milioni nel capitale sociale pari al 30,1% delle quote. L’aumento di capitale da parte dell’agenzia nazionale per lo sviluppo segue l’iniezione di fondi da 23,2 milioni dello scorso febbraio da parte di Mia Srl (di Marco Marchi, fondatore di Liu Jo), Sagitta sgr e degli attuali azionisti di Coin: Red Navy srl, Joral Investment srl e Hi-Dec Edizioni srl. Il numero 1 del Mimit, Adolfo Urso, si dice soddisfatto: “Sosteniamo con convinzione il rilancio di questo storico gruppo commerciale — ha dichiarato il ministro  — e continueremo a monitorare con attenzione affinché il percorso di risanamento si concluda con la piena tutela dei 1.390 lavoratori coinvolti”.

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COS’E’ IL FONDO CHE HA SALVATO COIN

Al netto della soddisfazione del ministro, ha fatto aggrottare più di un sopracciglio tra gli osservatori la decisione di usare i fondi pubblici per salvare Coin, arrivata nel pieno di numerose vertenze industriali in settori economici e produttivi di primaria importanza. Il Fondo salvaguardia Imprese, istituto in piena pandemia con il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, all’art. 43, è nato per essere attivato per acquisire partecipazioni di minoranza nel capitale di rischio di imprese in difficoltà economico finanziaria.

Invitalia – si legge sul sito della holding controllata dal ministero dell’Economia – effettua investimenti diretti nel capitale di rischio a patto che la partecipazione diretta sia di minoranza; l’intervento complessivo dell’operazione non superi i 30 milioni di euro e sia effettuata assieme a investitori privati indipendenti che apportino almeno il 30% delle risorse previste (nel caso di operazioni a favore di imprese in difficoltà non ai sensi degli orientamenti comunitari) oppure vi siano soci preesistenti che apportano almeno il 50% dell’aumento di capitale (nel caso di operazioni a favore di imprese in difficoltà non ai sensi degli orientamenti comunitari); l’impresa proponente garantisca un contributo proprio pari ad almeno il 25% per le piccole imprese, 40% medie imprese e 50% grandi imprese (nel caso di operazioni a favore di imprese in difficoltà ai sensi degli orientamenti comunitari), mettendo da subito in conto una exit a 5 anni alle condizioni definite già nell’investimento. Per molti un simile strumento emergenziale, ancorato peraltro a un periodo storico ben preciso (la pandemia di Covid) rischia facilmente di essere distorto al fine di impalcare emuli di Iri da Prima Repubblica.



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