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10 ANNI DI SOCIETÀ BENEFIT/ “Un aiuto allo sviluppo sostenibile come lo intendeva papa Francesco”


Dieci anni fa nasceva in Italia un’idea che ha anticipato il dibattito globale sulla sostenibilità d’impresa: le Società Benefit. Frutto di un’intuizione politica e culturale, divenuta presto legge grazie all’impegno di un piccolo gruppo di parlamentari, tra cui Mauro Del Barba, oggi questo modello coinvolge oltre 4.600 imprese nel nostro Paese, e si sta diffondendo in altri Stati.

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In questa intervista Del Barba – promotore della norma, fondatore e presidente uscente di AssoBenefit – traccia un bilancio di questi primi dieci anni, analizzando sfide e prospettive di un movimento che punta a ridefinire l’economia mettendo al centro il beneficio comune. Uno sguardo che va oltre i confini italiani e che chiama in causa politica, finanza, cultura d’impresa e, come lui stesso afferma, la “convivenza pacifica tra i popoli”.



Onorevole Del Barba, a 10 anni dalla legge che ha introdotto le Società Benefit in Italia ci può tracciare un bilancio?

Scrissi il disegno di legge che introduceva le Società Benefit con un gruppo di appassionati nel 2014 e lo depositai al Senato ad inizio 2015 nella convinzione che occorresse liberare le energie positive degli imprenditori per ridefinire il modello di sviluppo in senso sostenibile. Poco dopo papa Francesco pubblicò la storica enciclica Laudato Sii che è ancora la più autorevole conferma di quell’intuizione, una critica al modello economico che cerca solo il profitto, generando esclusione, degrado ambientale e sfruttamento, proponendo il tema dell’ecologia integrale, ripreso nel 2020 con l’enciclica Fratelli tutti. Occorre tornare alla temperie di quel 2015 dove non a caso arrivarono poi la COP21 di Parigi e Agenda 2030 delle Nazioni Unite con i 17 SDG’s.

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L’Italia fu la prima nazione sovrana a offrire alle imprese questa prospettiva, seguita poi da molti stati del Sud America, il British Columbia in Canada, la Francia e più recentemente la Spagna.

Cogliemmo lo spirito del tempo, ma soprattutto osservammo la tipicità delle imprese italiane scommettendo sulla loro risposta: assumendo come emblematici l’esperienza di Adriano Olivetti, la tradizione di impresa familiare e il modello cooperativistico italiani constatammo che questo patrimonio di impresa responsabile civilmente e ambientalmente rimaneva costitutivo del tessuto imprenditoriale italiano e andava valorizzato, liberato dalle briglie sempre più asfissianti di una impostazione tecnicistica e unicamente orientata al profitto, profondamente incentivata da una finanza che si percepiva distaccata dai territori e con un’interpretazione predatoria della globalizzazione.

Questo modello è stato accolto positivamente dagli imprenditori: la crescita delle Società Benefit in Italia si conferma anno su anno e oggi sono oltre 4.600 le imprese che hanno assunto questa qualifica. Possiamo dire che la scommessa è stata vinta?

Ci sono tutte le premesse per essere ottimisti, ma siamo solo all’inizio di un cammino che è già stato ricco di ostacoli e che sicuramente deve ancora trovare delle alleanze forti e convinte per poter esercitare il ruolo per cui è stato ideato: cambiare il modello di sviluppo, modificare alla radice i comportamenti aziendali e le valutazioni del mercato per fare in modo che al profitto si accompagni sempre e inderogabilmente il beneficio comune, il cuore delle Società Benefit. Anche l’Europa lo ha capito, ma il tentativo fatto con il Green Deal si è per ora infranto su una realtà molto più refrattario nel recepire il cambiamento.

Anche l’Europa ha provato ad affrontare questi temi con il Green Deal, ma le critiche non sono mancate. Qual è la sua opinione su questo piano?

Il Green Deal ha rappresentato l’idea giusta realizzata nel modo sbagliato. L’idea rimane giusta e occorre continuare a perseguirla, a partire dalla finanza sostenibile fino agli obiettivi di decarbonizzazione e di ricerca di impatto sociale positivo. Sulle prime è parso che proprio la finanza, con la spinta ESG, potesse essere il vero motore di questo cambiamento. Tuttavia non possiamo pretendere che sia la finanza da sola, pensiamo alle famose lettere del CEO di BlackRock, a invertire la rotta del mercato.

Se la competitività e infine la capacità di produrre profitto non viene alla radice orientata al bene comune prima o dopo la finanza, per sua natura, sarà riconvogliata sulle mere logiche del solo profitto. Analogamente i giusti tentativi dell’Europa di imporre obiettivi di sostenibilità al mercato attraverso obblighi di rendicontazione rischiavano di diventare appannaggio delle sole grandi imprese in grado di affrontare questa complessità, magari senza modificare realmente i propri processi e le proprie finalità.

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Infine, il vero limite del Green Deal è stato quello di non entrare adeguatamente nelle logiche di filiera e di libero mercato date dalla globalizzazione spiazzando le imprese europee in termini di competitività e dunque facendo venire meno uno dei pilastri della sostenibilità, paradossalmente proprio quello economico.

E in questo contesto, come si collocano le Società Benefit? Possono contribuire a superare i limiti emersi nell’applicazione del Green Deal?

In questa complessa navigazione le Società Benefit si sono mostrate resilienti e soprattutto hanno evidenziato la capacità di portare le principali istanze di cambiamento sia alle grandi imprese che alle piccole e piccolissime, aspetto fondamentale su cui continueremo a lavorare e investire.

Lei è considerato il papà delle Società Benefit ed è tra i fondatori di AssoBenefit di cui è stato Presidente dalla sua fondazione fino a oggi. Quale futuro vede per questo movimento in Italia e all’estero?

Il vero privilegio, per me, è stato ed è tuttora conoscere da vicino la passione autentica degli imprenditori Benefit, così come la fiducia che essi riscuotono presso la finanza, le istituzioni, le Università.

Quindi non si tratta solo di un’innovazione normativa o tecnica, ma anche culturale?

Assolutamente. L’entusiasmo che queste imprese generano tra i giovani è straordinario. Se potessi, passerei le giornate a visitarle: mi creda, quando si entra in una Società Benefit lo si percepisce immediatamente, dal clima che si respira e dal modo in cui è considerata nel suo territorio.

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E oggi, in un mondo attraversato da nuove tensioni, che ruolo possono avere queste imprese?

Per me rappresentano la speranza più concreta con cui affrontare il Giubileo dopo la scomparsa di papa Francesco. Ma il contesto non è semplice: viviamo tempi scossi da venti di guerra e ritorni pericolosi al passato. È giunto il momento di credere con maggiore forza nella capacità degli imprenditori di imporre dal basso i valori in cui credono, attraverso il mercato.

C’è qualche elemento concreto che conferma questa fiducia?

Sì, una recente ricerca condotta con diversi partner, tra cui Banca Intesa, dimostra che le Società Benefit che perseguono obiettivi di beneficio comune sono più resilienti e anche più profittevoli. Questo è un dato rilevante per chiunque si interroghi sul futuro dell’economia sostenibile.

E per quanto riguarda AssoBenefit, come si evolverà?

AssoBenefit è uno strumento – importante, ma sempre uno strumento – al servizio di un fine più grande. Il nostro statuto non ci configura come una semplice associazione di categoria: ci assegna una finalità estroversa, rivolta a cambiare l’intero modello economico italiano. I nostri soci – persone fisiche, professionisti, imprese – non cercano vantaggi personali o aziendali, ma condividono l’obiettivo di generare impatti positivi. Li ringrazio di cuore per questo spirito.

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Guardando al futuro, quali sono le prossime sfide?

Questi dieci anni dimostrano che cambiare è possibile, ma ora serve proseguire con convinzione. È il momento di non cedere a logiche di visibilità o a compromessi: bisogna ritornare allo spirito del 2015, quando tutto è iniziato. I prossimi tre anni saranno cruciali per capire se questa visione sarà abbastanza forte da incidere davvero sul modello di sviluppo, o se verrà ricordata solo come una testimonianza coraggiosa in tempi difficili.

E lei personalmente, quale impegno continuerà ad assumere in questa sfida?

Continuerò a dare il mio contributo affinché questa strategia – che stiamo coltivando anche con gli amici francesi, spagnoli e di altri Paesi che hanno adottato o stanno valutando leggi simili – non perda il coraggio iniziale. È la sfida più bella che io conosca: una sfida che riguarda la politica, l’economia, l’ecologia, le relazioni internazionali e la storia dell’umanità. Una sfida che può davvero incidere sulla possibilità di una convivenza pacifica tra i popoli.

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