C’è un diritto che, per chi nasce e cresce in Sicilia, raramente viene pronunciato ad alta voce, un diritto che nessuno ci insegna tra i banchi di scuola. Non è scritto nei codici, ma lo riconosci nelle valigie sempre pronte dei fuorisede, nei racconti dei più grandi, negli sguardi di chi ti dice: “Qui non c’è nulla per te.” È il diritto di restare, di costruire un futuro dove sei nato, di non dover partire per essere preso sul serio. In un’Italia che fatica a offrire prospettive concrete ai suoi giovani, in una Sicilia spesso raccontata solo attraverso ciò che manca, scegliere di restare è diventato un atto speciale, quasi rivoluzionario. E in questa rivoluzione, noi studenti abbiamo un ruolo fondamentale.
Noi di Intesa Universitaria rivendichiamo questo diritto ogni giorno, nel nostro piccolo, a partire dall’Ateneo dell’Università degli Studi di Palermo, perché crediamo che l’università sia il primo passo verso la realizzazione di noi giovani. Ed è da qui che comincia la costruzione di un domani migliore. Innovare, oggi, è la forma più alta di amore per il proprio territorio. È dire: “Non me ne vado. Resto. E costruisco qui qualcosa che prima non c’era.”
Il panorama economico attuale è tutt’altro che semplice: infrastrutture fragili, accesso limitato ai capitali, processi di transizione tra università e mercato del lavoro ancora lenti. Ma qualcosa si muove, e la Sicilia, terra di contrasti, straordinaria bellezza e potenzialità inespresse, non è più soltanto spettatrice. Il nostro Paese si trova davanti a una svolta epocale: la sfida dell’innovazione.
E chi meglio di noi giovani può intestarsi questa sfida? La nostra storia è ricca di inventori, pensatori e innovatori che hanno cambiato il corso degli eventi. Ma oggi, il testimone passa a una nuova generazione di giovani siciliani, e la sfida assume un nuovo volto: si chiama start-up. Il cammino, però, è tutt’altro che semplice.
Una start-up è un’impresa giovane, spesso fondata da un piccolo team, che mira a sviluppare un’idea innovativa, scalabile e ad alto potenziale. A differenza delle aziende tradizionali, le start-up nascono per sperimentare: testano modelli di business, creano soluzioni nuove, affrontano problemi reali in modi inediti. Possono essere digitali, sociali, green, culturali, ma hanno un denominatore comune: vogliono cambiare lo status quo. In Italia, e soprattutto in Sicilia, dove avviare un’impresa è spesso un percorso a ostacoli, dove l’accesso ai finanziamenti è difficile, dove le aziende faticano a rinnovarsi per carenza di competenze chiave come digitalizzazione, marketing, innovazione di prodotto e gestione agile, abbiamo un bisogno urgente di leve concrete per il cambiamento. Le start-up si muovono leggere: sperimentano, sbagliano, riprovano. Portano sul territorio idee nuove, creano occupazione qualificata, attirano investitori, stimolano anche le imprese storiche ad aggiornarsi, e soprattutto, offrono a tanti giovani preparati la possibilità di restare o tornare, senza essere costretti a partire. Per un Paese che vuole essere competitivo in Europa e nel mondo, e per un Sud che vuole finalmente smettere di inseguire e iniziare a guidare, le start-up non sono un’alternativa: sono una necessità strategica.
Negli ultimi anni, la Sicilia ha registrato un aumento significativo delle iniziative legate all’innovazione e all’imprenditoria giovanile. Città come Catania e Palermo stanno diventando poli attrattivi per l’ecosistema delle start-up, grazie alla presenza crescente di incubatori, acceleratori e spazi di coworking. L’apertura di Le Village by CA a Catania nel 2024 è un chiaro segnale: un hub che connette start-up, grandi aziende e università, offrendo opportunità di crescita e confronto. Ma il fermento non è solo urbano: anche le aree più periferiche iniziano a scommettere sui giovani con idee nuove. Si moltiplicano i laboratori di innovazione sociale, le cooperative giovanili e le iniziative legate all’economia circolare, all’agricoltura 4.0, al turismo sostenibile e al digitale.
L’entusiasmo è reale, palpabile. Programmi come Yes I Start Up o i fondi di Resto al Sud hanno dato una spinta concreta: corsi di formazione imprenditoriale, accesso al credito agevolato, consulenze per la costruzione di un business plan. Eppure, un finanziamento da solo non basta a cambiare il destino di un’intera regione. Molti giovani segnalano difficoltà reali: burocrazia lenta, accesso frammentato alle informazioni, carenza di reti di supporto locali, e soprattutto una diffusa mancanza di fiducia e cultura imprenditoriale. In Sicilia, “fare impresa” significa spesso andare controcorrente, significa confrontarsi con un sistema ancora poco reattivo, affrontare il pregiudizio di chi vede nell’imprenditore giovane un sognatore più che un professionista.
Eppure, sempre più giovani decidono di restare o di tornare, puntando su qualità, identità locale e impatto sociale. E non mancano gli esempi virtuosi: da Orange Fiber, che produce tessuti sostenibili dagli scarti degli agrumi, a MUV, l’app che promuove la mobilità sostenibile attraverso il gioco; dai giovani agricoltori 2.0 che esportano arance e pistacchi online, a chi reinventa i borghi con il turismo esperienziale.
Ogni storia di successo, però, è fatta anche di sacrifici, ostacoli e battaglie quotidiane contro una macchina amministrativa spesso distante.
La sfida dell’innovazione in Sicilia è complessa, ma non impossibile. Richiede una visione politica chiara, un ecosistema coeso, l’ascolto autentico dei giovani. Servono politiche lungimiranti, sinergia tra pubblico e privato, incentivi mirati e la capacità di valorizzare ciò che la Sicilia già possiede: capitale umano, creatività, resilienza.
I giovani siciliani non cercano scorciatoie. Chiedono strumenti, ascolto, opportunità. Perché sognare in Sicilia non è utopia: è un atto di coraggio quotidiano.
E forse, il vero motore dell’innovazione siciliana non è la tecnologia, ma proprio la determinazione di chi ha scelto di restare.
Il Sud ha già pagato abbastanza in termini di emigrazione giovanile. Oggi tocca a noi cambiare la narrativa.
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